Warning, Cyberleiber Only!


Etelser Hunde-Zwinger 2008

Bilder, pics, immagini: Critical Pornography



Rezensionen und Presse




 

Digitale Malerei hinter Gittern (Presseerklärung)

 

8.6. – 10.7.2008

Kuratorin: Beatriz Szonell

 

 

Digitale Malerei, die nichts anderes tut, als gewohnte Präsentationsformen von Sexualität und entsprechende Sehgewohnheiten in Frage zu stellen: kritische Pornografie, wie es der Künstler nennt. Mit einer sich aufdrängenden, mitunter fast schon aufdringlichen Präsenz von plastisch-realistischen Körpern im fragmentarischen Zustand, versehrt also und verfremdet, ironisiert bis ins Skurrile, auch Abstoßende hinein. Das Ganze in eine Chromatik getaucht, die alles zu überschwemmen droht, mindestens aber konterkariert oder gar bis zur Unkenntlichkeit zermalt.

Der Ausstellungsort, eine ehemalige Hütte für Jagdhunde, gibt die geeignete Kulisse für eine Kunst, die sich immer wieder – obgleich sie sich einordnet in einen Kontext gegen Schändung, Schande und Gewalt an Frauen und Kindern und schwachen Menschen überhaupt – mit Verleumdung und Zensur auseinander setzen muss. Kunst hinter Gittern also. Wer sie sehen will, muss dahinein – den Kopf einziehen! – ins Dunkle des Zwingers, um zu erleben, was sich da tut auf dem Monitor in der Ecke. Bitte setzen!

 

 

Zur Ausstellung erscheint eine CD.

Vernissage: 7. Juni 19 Uhr, Etelser Str. 17B, 27299 Langwedel

Öffnungszeiten: Fr - So 16.00-18.00 und n.V.

 

 

Kontakt: beatrizszonell@web.de

http://beatrizszonell.jimdo.com





 

Arte digitale dietro le sbarre (Comunicato stampa)

 

8.6. – 10.7.2008

 

a cura di Beatriz Szonell

 

 

Pittura digitale sulla decostruzione ironica dell’immaginario pornografico comune: frammenti di nudi iperrealistici, storpiati e straniati; gioco cromatico e formale che propone in guisa di mosaico la dissoluzione dell’immagine preesistente. Dalla pornografia sinonimo di banalità e oscenità fatta da e per il mondo maschile e maschilista al rovesciamento di cliché culturali – cui guardare con gli occhi non necessariamente del pornografo – sotto il segno di un’estetica ludica che presenta insoliti paesaggi erotici. Questa pornografia critica, come la chiama l´autore, sarà presentata su monitor nel buio del canile di Etelsen, dietro le sbarre.

 

 

 

 

Vernissage: 7 giugno ore 19, Etelser Str. 17B, 27299 Langwedel

Aperto al pubblico: ven-dom ore 16.00-18.00

Per informazioni: beatrizszonell@web.de, http://beatrizszonell.jimdo.com

 

 

 

 

Digital art in the doghouse (Pressrelease)

 

June 8 – July 10, 2008

Curator: Beatriz Szonell

 

Digital paintings featuring the ironic deconstruction of the public pornographic imagination: fragments of hyperrealistic nudes, warped and estranged; formal and chromatic plays breaking into a mosaic the dissolution of the pre-existing image. From pornography as a synonym for triviality and obscenity made by and for the male and male chauvinist world, to the reversal of cultural clichés – calling for a view through eyes that are not necessarily those of a pornographer – under the sign of a playful aesthetics showing unusual panoramas.

 

Opening: June 7, 19.00, Etelser Str. 17B, 27299 Langwedel (Germany)

 

 

beatrizszonell@web.de

http://beatrizszonell.jimdo.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dietro le sbarre del sé


di Franca Cavagnoli

 

 

 

Quando si gira un film pornografico si privilegia la performance: la macchina da presa è uno strumento al servizio della prestazione degli attori. Ma quando la regista francese Catherine Breillat gira Romance usa la macchina da presa come uno strumento artistico che detta i tempi agli attori, anche al re del porno Rocco Siffredi. E gli intima di ripetere una certa scena magari una decina di volte interrompendolo ogni trenta secondi. Un altro aiuto per comprendere la differenza fra un film pornografico e un film sul tema della pornografia ce la dà lo stesso Siffredi, il quale dopo aver girato il film di Breillat ha dichiarato che girare un film pornografico «gli procura delle sensazioni» mentre girare un film d’autore «gli ha dato delle emozioni». La scelta di una parola nobilitante come «procurare» esprime a fondo la distanza emotiva che l’attore mette fra sé e ciò che accade sulla scena, mentre Siffredi usa con spontaneità il verbo «dare» quando deve legarlo alla parola «emozioni». L’interpretazione dell’atto un’emozione, la meccanicità dell’atto procura una sensazione.

 

Nei digipics del ciclo Cyberleiber di Paul Kroker la performance non c’è – semmai c’è la sua frantumazione. Perché in quale altro modo si può definire ciò che è accaduto ai frammenti di immagini, smembrati e nuovamente riuniti secondo il disegno – o il capriccio? – dell’artista, che compongono i suoi digipics? E che sono il divenire telematico dell’eredità romantica del frammento e dell’arabesco che sta alla base del lavoro di Kroker. Non c’è performance e non c’è la sensazione di fondo che accompagna la visione di un film o di un’immagine pornografica – l’eccitazione. Quello che manca è il gioco di aspettative destinate a eccitare lo spettatore che è lo scopo di un film o di una foto porno. Verrebbe da dire che non c’è neppure esibizione bensì, proprio come per la performance, soltanto la sua negazione. Perché in questi digipics è più quello che non vediamo che non quello che vediamo. È più quello che immaginiamo che non quello che si offre nudo e crudo al nostro sguardo. La performance lascia spazio all’interpretazione e l’esplicito cede il passo all’allusivo-espressivo. È una scuola dello sguardo che fa ritrovare nelle immagini quello che si è intenzionati a vedere, se la mente è ottenebrata dall’ideologia, dal bigottismo e dall’oscurantismo, mentre consente di trovare sorprendentemente cose che non si pensava di trovare se si guarda le immagini con sguardo lucido.

 

Un aspetto interessante del ciclo Cyberleiber è che le immagini si guardano sul monitor e dunque non si possono toccare. Si tratta di materiali virtuali – quasi un ossimoro – senza la matericità della carta o della pellicola. Un po’ come con la musica, che esiste solo nel momento in cui la si suona per il tramite di uno strumento – a differenza di un quadro che continua a starsene appeso alla parete anche se la luce è spenta, la porta è chiusa e nessuno lo guarda –, così i Cyberleiber di Kroker esistono solo per il tramite del pc. Se il pc è spento non esistono, esattamente come non c’è musica se il clarinetto è posato sulla sedia. 

 

La materia manca. Inoltre lo schermo del pc fa sì che i digipics siano per l’appunto schermati – lo schermo sostituisce il velo delle immagini erotiche dei secoli scorsi appese nei musei di mezzo mondo. Ma mentre nei dipinti dei maestri del passato anche il velo si può toccare, se si ha il coraggio di sfidare le fotocellule dei musei, e sentire così sotto le dita la granulosità della tempera o la levigatezza dell’olio, lo schermo del pc accentua la distanza dalla plasticità del corpo. Lo schermo scherma: ripara e protegge – difende, per l’appunto. E consente di difendersi. E acuisce la distanza, sia per chi guarda i digipics sia per chi i digipics li crea. Quelli con cui lavora Kroker sono infatti materiali acquisiti con le tecnologie – grazie al web o riprodotti digitalmente per mezzo di uno scanner se all’origine erano cartacei – e lavorati con le tecnologie: il software di Photoshop. Non c’è alcun contatto col corpo raffigurato benché l’artista lavori ossessivamente sul corpo. Nei generi classici l’artista tocca il corpo che sta raffigurando, lo tocca nella scultura e lo tocca anche nella pittura: si può spalmare il colore col dito o con il palmo della mano, e comunque il pennello si può vedere come un prolungamento della mano dell’artista. E pure chi guarda, volendo, può toccare sia la scultura sia il quadro. Ma qui si tocca solo lo schermo. Non si può toccare l’opera d’arte in sé. E questo è un primo aspetto sorprendente. Vuole forse l’artista indurci a guardare e non toccare? Un invito a un voyeurismo raffinato, certo, di sicuro non bigotto, ma pur sempre voyeurismo. Un invito alla condivisione dello sguardo. Perché accanto a noi che guardiamo c’è anche lo sguardo di chi ha creato le immagini. Come nel quadro di Magritte L’assassino minacciato, in cui i tre uomini che guardano dalla finestra rappresentano le immagini riflesse di chi guarda il quadro, e in primo luogo l’immagine di chi il quadro ha creato, così chi guarda le immagini sullo schermo del pc può vedere il riflesso di se stesso e magari scoprire, accanto ai propri, anche gli occhi dell’artista.

 

Ma torniamo alle emozioni. Ciò che davvero colpisce nei digipics di Kroker è la variopinta mostruosità di alcune delle creature raffigurate. Perché di questo si tratta: la frammentazione del corpo dà origine a creature mostruose. In alcune immagini il corpo è addirittura difficilmente rintracciabile, mentre ciò che si percepisce è il mistero che avvolge i frammenti e la mostruosità delle creature che ritroviamo al suo posto. Alcuni digipics danno emozioni forti perché ci fanno sentire il dolore delle creature raffigurate. Il dolore di avere arti scheletriti o seni così pesanti da spezzare la spina dorsale di chi ha la sventura di possederli. Ventri gonfi come quelli degli annegati. O il ghigno di chi in teoria dovrebbe provare piacere e invece comunica dolenza e afflizione. Anche le scene orgiastiche partecipano spesso un senso di travaglio, una sofferenza acuta dell’organismo sottoposto a torsioni e avvitamenti prolungati, ad atti che ci appaiono per lo più meccanici e che hanno perduto l’inaspettata naturalezza con cui giunge il piacere. È una sofferenza tormentosa quella che mi pare soprattutto di intravedere nelle espressioni delle creature, una sofferenza che è pena fisica ma anche di ordine spirituale.  Ogni tanto, tuttavia, l’artista ci sorprende, ed ecco apparire delle immagini in cui il deforme e l’innaturale virano nettamente verso il grottesco, e i volti e le schegge di corpi appaiono paradossali, inspiegabili. Qui la percezione della sofferenza si dissolve in un riso liberatorio, come avviene per i digipics n. 27, 28, 43, 59 o 62a (CD Diashow, Etelsen 2008), in cui figure umane bizzarramente deformate rimandano alle decoriazioni parietali di digitali grottesche.

 

 Il cromatismo per contro, l’altro aspetto evidente del ciclo Cyberleiber, non sempre evoca un’emozione autentica. Se nel digipic di gruppo tutto al maschile n. 16 il blu livido che ne è il colore dominante evoca un’emozione forte – il blu livido è il colore che immediatamente si associa alla cute cianotica e dunque a un dolore profondo, primigenio, o all’ecchimosi, e quindi alle conseguenze delle botte e dei colpi se si sbatte violentemente contro qualcosa, e in ultima istanza al colore del cadavere – e l’elemento cromatico diventa parte integrante dell’immagine raffigurata contribuendo a esprimere un’emozione forte, non sempre ciò accade quando la creatura raffigurata affoga in una sarabanda di colori. Qui il rischio è quello di allontanare anziché evocare l’emozione. Ciò è particolarmente evidente nei digipics n. 12, 18 e 57a, dove si rimane freddi nel guardare la giostra di colori sugli arabeschi dei corpi. Quando i colori sono tanti l’emozione si attenua: l’eccesso di colori ne annulla l’intensità. È come se i colori si neutralizzassero a vicenda mettendo in fuga l’emozione. È un po’ quello che succede quando si usano troppi aggettivi: uno o due di troppo sottraggono vigore agli altri e quello che si è scritto diventa meno incisivo. Queste immagini non evocano emozioni, non si associano a stati psichici profondi, legati a un’affettività, a un turbamento intenso. Rimangono sul piano della sensazione, di qualcosa che scaturisce da uno stimolo di breve durata e che rimane più in superficie, come una sensazione tattile o visiva. La sensazione di dolore che si prova se ci si punge con la spina di una rosa, non l’emozione legata al ricordo di un dolore ancestrale che traspare da corpi cianotici.

 Come a volte la componente espressionista delle immagini rimane stilizzata, così la componente rinascimentale – l’altra matrice iniziale del lavoro di Kroker – rimane qua e là nei residui dei volumi dei corpi ma non certo nell’armonia. Un aspetto – l’armonia dei corpi – peraltro già assente nel ciclo delle Angele. In questi lavori i corpi non erano già più armoniosi perché sfregiati dai tagli, dalle armi, dalle corde al collo, dalla sofferenza che sgorgava da quei corpi mutilati e decapitati. Sembra proprio che l’armonia sia stata abbandonata ormai da tempo, e da tempo non compaiono più nei lavori di Kroker le barocche figure muliebri che amava disegnare e dipingere una quindicina di anni fa. La ricerca espressiva dell’artista va da tempo nella direzione della disarmonia, della raffigurazione del mostruoso, dell’espressione di una sofferenza tormentosa. E non è un caso che siano proprio i digipics in cui si avverte una minore indulgenza nei confronti del cromatismo e una maggiore decisione nel virare verso la disarmonia e il deforme a risultare più efficaci. Quelli in cui l’esplicito lascia il passo al non detto, e dove ci si deve industriare a capire cosa c’è effettivamente raffigurato. Oppure nei digipics spiazzanti, che sembrano a prima vista qualcosa che poi si rivela essere qualcos’altro.

 

Infine un’ultima riflessione sul luogo in cui il ciclo Cyberleiber è stato presentato: il canile di Etelsen. La visione dei digipics nel buio del canile, sotto il soffitto basso, gomito a gomito con altri o in perfetta solitudine comprime lo spazio e crea un senso di oppressione in chi guarda. E non appena si alzano gli occhi dal monitor ci si ricorda che si è dietro le sbarre. Nel buio, dietro le sbarre, non si può essere felici. Non c’è libertà nemmeno nei tempi della visione, stabiliti da chi cura la regia della mostra e non da chi guarda. Nel canile di Etelsen sento soprattutto il dolore. Che è la condizione di chi vive al buio dietro le sbarre. Anche quelle costruite da se stessi.

 

 

 

Milano, 8/9/2008

 

Warning, Schule des Sehens!

 

 

 

 

von Beatriz Szonell

 

 

          Da war einer vor fast 30 Jahren nach Italien ausgewandert und präsentiert sich nun in Deutschland mit Bildern, die ausschließlich auf Monitoren zu sehen sein wollen. Kurz vor der Jahrtausendwende findet diese Form der Bildproduktion Eingang in das  Schaffen von Paul Kroker. Alles beginnt sich dadurch für ihn zu ändern. Zunächst einmal das Material, gewonnen mit dem Scanner, der Digitalkamera und aus dem Netz. Das determiniert die Arbeit ganz und gar: Orte, Instrumente, Zeiten. Die Ateliers in Mailand und nahe Bremen werden als Produktionsstätten unwichtig, da nur selten noch traditionell gemalt oder an Skulpturen oder Installationen gearbeitet wird. Die Herstellungszeiten verkürzen sich rapide, dürfen aber nicht den ästhetischen Entscheidungsprozess negativ beeinflussen; gefordert ist verschärfte Aufmerk-, ja Wachsamkeit. Konstant bleibt jedoch das Thema, nein: es spitzt sich zu – zunächst zum Balanceakt zwischen Erotik und Pornografie eines dreisprachigen, noch sehr vorsichtig formulierten wenn porno becomes arte (2005).

           Im Zentrum steht die Arbeit an Körpern und Sexualität, um aus kommerzieller wie banaler Geilheit, brutaler Trivialität und obszöner Hässlichkeit eine in sich durchaus widersprüchliche Ästhetik des Nackten herauszuarbeiten, wie sie sich im Zyklus der Körperlandschaften Cyberleiber seit ein paar Jahren schon in italienischen, englischen und deutschen Portalen vorstellt. Künstlerisch wie programmatisch profiliert sich dabei auch die eigene Position, welche dem Pornografischen nun explizit künstlerisches Existenzrecht und thematische Eigenständigkeit zuspricht. Warum sich auch noch länger dem entziehen, was  kunst- und literaturwissenschaftlich längst kein Thema mehr ist und nicht mit einem Femebegriff be-, sondern als freizügig, galant, erotisch oder als Libertinage ausgelegt wird. Oder: Warum Pornografie nicht schlicht beim Namen nennen?! Nun, oft machen Worte mehr Angst als die nackten Tatsachen – die allerdings, gerade wenn sie nackt sind (und vielleicht noch ein wenig pervers), dann doch gern bigotten Voyeurismus wecken…

          Aber verhandeln wir über Kunst, über Krokers Kunst – sei sie nun pornografisch oder nicht, Sanktionen obliegen den zuständigen Behörden. Wenn wir diese Arbeiten hier aber trotzdem pornografisch nennen, dann im Sinne der ihnen eingeschriebenen Kritik an hegemonialen Präsentationsformen von Sexualität und den diesen entsprechenden Sehgewohnheiten. Und damit bequemen wir uns zu einem Qualitätsurteil, was heutzutage eher unbequem ist, und reden über gelungene, gute oder schlechte und misslungene Kunst.

          Wenn ich mir die Produktion der letzten beiden Jahre anschaue, diese digitalen Bilder, die Paul gern digipics nennt, kann ich nicht umhin, auf eine Traditionslinie zu verweisen, die vor etwa einem Jahrzehnt der Mailänder Generalkonsul Michael Engelhard anlässlich der Ausstellung Constructa Romantika II andeutete, als er die recht großformatigen Kohlezeichnungen weiblicher Körper mit ihren abstrakten Acryl-Ornamenten (Circolo Filologico, Mailand 1997) zu verorten suchte als eine stilistische Mischung aus skulpturaler italienischer Renaissance und deutschem Expressionismus.

          Besonders die jüngsten Bilder scheinen mir solch Affinität durchgängig zu bestätigen: diese sich aufdrängende, mitunter fast schon aufdringliche Präsenz von plastisch-realistischen Körpern im fragmentarischen Zustand, versehrt also und verfremdet, ironisiert bis ins Skurrile, auch Abstoßende hinein. Hatte der Kunstkritiker Philippe Daverio zur Ausstellung Il vuoto sacro (Bologna 2006) bemerkt, in seiner Orientierung am mediterranen Schönheitsideal bewege sich Kroker in einer Gegenrichtung zu den monströsen Figuren eines Grünewald oder Bosch, so lassen sich deren Nachfahren hier und heute und ohne allen Zweifel ausmachen. Das Ganze in eine Chromatik getaucht, die alles zu überschwemmen droht, mindestens aber konterkariert oder bis zur Unkenntlichkeit zermalt. Ja, bei diesen digitalen Arbeiten handelt es sich unzweifelhaft um Malerei von fast destruktiver Potenz: Das vorgefundene Bild, das Vor-Bild, wird dekonstruiert, einem  unvorhersehbaren Changieren ins Abstrakte ausgesetzt, wird zum Mosaik, welches sich semantischer Eindeutigkeit entzieht und Raum schafft für Reflexion, Kritik und Genuss.

          Wer da sieht, was er oder sie gerne sehen will, zu sehen meint oder nicht zu sehen wagt, der sieht nicht, was es effektiv (nicht) zu sehen gibt – eine Schule des Sehens gerade für die, die aus Angst vor sich selbst die Augen lieber schließen und sich vielleicht dabei noch schamvoll hinter einer falsch verstandenen political correctness verbergen. Sollte der Imperativ des Ausstellungstitels – WARNING, CYBERLEIBER ONLY! – gar auch auf sie anspielen wollen?

          Die digitale Kunst von Paul Kroker ist eine, die will Mut machen, sich an unserer Wirklichkeit, dieser Gegenwart und ihrem Material abzuarbeiten, dabei den Blick in die Fernen der Vergangenheit wie der Zukunft schweifen zu lassen, aus dem Alltäglichen das Extreme, die Überraschung, das Schöne und auch das Böse, den Wünschenswert heraus zu treiben und unsinnige, überlebte Tabus auszutreiben, ist durchaus formbewusst wie auch formauflösend und genau in diesem Sinn sehr romantisch.

          Eine geeignete Kulisse für diese Kunst, die – obgleich sie sich selbst einordnet in einen Kontext gegen Schändung und Gewalt an Frauen und Kindern und schwachen Menschen überhaupt – sich immer wieder mit Verleumdung und Zensur auseinander setzen muss, gibt der Ausstellungsort ab: ein ehemaliger Zwinger für Jagdhunde. Dabei bleibt allerdings eine Frage offen: Was eigentlich tut sich da hinter Gittern, wo diese digitalen Bilder im Dunkeln – wir sind ja gewarnt! – auf einem Monitor zu sehen sind?

 


Warning: scuola dello sguardo

 

Dopo  quasi una trentina di anni in Italia ora Paul Kroker presenta in Germania i suoi quadri da guardare esclusivamente sul monitor. Poco prima della fine del millennio questa forma di produzione d´arte digitale arricchisce il patrimonio artistico dell’artista berlinese. E tutto cambia. Innanzitutto il materiale, che ora acquisisce con scanner, macchina fotografica digitale e attraverso internet. È questo che determina il suo lavoro in tutto e per tutto: luoghi, strumenti, tempistica. Gli atelier di Milano e Brema perdono d´importanza poiché solo di rado Kroker lavora ancora a quadri, sculture o installazioni in maniera tradizionale. I tempi di produzione si accorciano di molto, senza che questo abbia ricadute negative sul processo creativo  attenzione, prontezza e vigilanza estetica sono sempre di primaria importanza. Il tema può rimanere costante oppure no, ma indubbiamente si affina, sperimentando con prudenza un equilibrismo tra erotismo e pornografia, come sottolinea il titolo trilingue wenn porno becomes arte (2005).

Perno della produzione di Paul Kroker è il lavoro sul corpo e sulla sessualità allo scopo di estrarre dalle viscere della più trita lussuria commerciale, dalla trivialità bruta e dalla bruttezza oscena un’estetica del nudo senz’altro non priva di contraddizioni,  come si presenta già da un paio d’anni su portali inglesi, italiani e tedeschi nel ciclo di paesaggi corporei Cyberleiber. Sia dal punto di vista artistico che programmatico la posizione di Kroker si precisa sempre più: alla pornografia si conferisce ora in modo palese non solo il diritto artistico di esistere ma anche un’autonomia tematica. Perché continuare a sottrarsi a ciò che  tra studiosi e critici d’arte e letteratura non è più da tempo argomento di discussione, non è più da tempo un tabù da esorcizzare ma viene considerato come qualcosa di semplicemente licenzioso, galante, erotico, o libertinaggio tout court? Detto altrimenti: perché non chiamare la pornografia con il suo nome e basta? Il fatto è che spesso le parole fanno più paura delle cose nude e crude – che, tuttavia, proprio perché sono nude (e magari anche un po’ perverse), risvegliano un certo voyeurismo bigotto.

Ma qui parliamo di arte, dell’arte di Kroker – che sia pornografica o no, le sanzioni spettano semmai ad altri.  Ma se proprio vogliamo definire pornografici questi lavori, allora dobbiamo partire dal loro significato di critica alla maniera predominante in cui viene presentata la sessualità e ai modi corrispondenti in cui siamo soliti vederla. Si tratta cioè, per usare le parole dell’artista, di ‘pornografia critica’. A questo punto siamo in grado di pronunciarci sulla qualità del lavoro, cosa piuttosto scomoda al giorno d’oggi, e di discutere di arte bella o brutta, di arte riuscita o non riuscita.

Riguardando la produzione artistica degli ultimi due anni, i quadri digitali che Kroker chiama digipics, non posso non ricondurli alla tradizione evocata una decina di anni fa dal Console Generale di Milano Michael Engelhard in occasione della mostra Constructa Romantika II(Circolo Filologico, Milano 1997), quando, per dare una collocazione ai grandi disegni a carboncino che ritraggono corpi femminili con astrattismi in acrilico, parlò di connubio stilistico tra il rinascimento scultoreo italiano e l’espressionismo tedesco.

Soprattutto gli ultimi lavori mi sembrano confermare questa affinità: la presenza imponente e a volte invadente di corpi plastici e realistici nel contempo, di frammenti coporei, mutilati e straniati, che l’ironia rende  bizzarri e talvolta anche respingenti. Se in occasione della mostra Il vuoto sacro (Bologna, 2006) Philippe Daverio aveva affermato che, nel suo orientarsi verso l’ideale di bellezza mediterranea, Kroker si muove in direzione opposta rispetto alle figure mostruose di Grünewald o di Bosch, le loro tracce oggi  sono più che evidenti. Il tutto immerso in un cromatismo che minaccia di inondare ogni cosa, che perlomeno ostacola  la visuale oppure mette in scena una pittura esplosiva. Sì, questi lavori digitali sono indubbiamente pittura di una potenza distruttiva: l’immagine raccolta, la protoimmagine, viene smontata, diventa oggetto di imprevedibili trasmutazioni e slittamenti verso l’astratto e sfocia in un mosaico che si sottrae alla semplicità semantica dando adito a riflessioni e critiche nonché al godimento dell’opera.

Chi ci vede quel che vuole vedere, chi ci vede quel che crede di vederci o chi non osa vedere affatto non vede quel che effettivamente (non) c’è da vedere – l´arte di Kroker è una scuola dello sguardo che insegna ad aprire gli occhi proprio a chi gli occhi preferisce chiuderli perché teme se stesso. Oppure si nasconde ancora pieno di vergogna dietro a una political correctness mal interpretata. L’imperativo contenuto nel titolo della mostra – WARNING, CYBERLEIBER ONLY! –  allude forse anche a loro?

L’arte digitale di Paul Kroker, invece, vuole essere un incoraggiamento a lavorare sodo sulla nostra realtà, sul nostro presente e sul materiale di cui è fatto, permettendo allo sguardo di vagare nelle lontananze del passato e del futuro ed estrapolando dal quotidiano gli estremi, il meraviglioso, il bello ma anche il malvagio e i desideri più profondi, al fine di infrangere gli insensati tabù che sopravvivono ancora oggi. Da ciò risulta una consapevolezza della forma che concepisce anche la sua decostruzione, un concetto proprio per questo particolarmente romantico.

Uno scenario ideale per questo tipo di arte che, sebbene si inserisca in un contesto contro lo stupro, la vergogna e la violenza di cui sono vittime le donne, i bambini e i più deboli, è comunque costretta a confrontarsi con denigrazione e censura lo offre il luogo dell’esposizione: l`Etelser Hunde-Zwinger, un vecchio canile, una gabbia per cani da caccia. Rimane comunque aperta una domanda: cosa succede veramente lì, dietro le sbarre, dove un monitor proietta nel buio – siamo avvisati! – queste immagini digitali?

 

 

Beatriz Szonell

 

 

 

 

 

 

(Trad. Anna Paradiso)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Beatriz Szonell (English version)

 

 

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Paul Kroker’s works on the body and on sexuality are at the core of his production. The aim of these works is to wring out from the guts of the stalest commercial lust, brute lewdness and obscene ugliness an aesthetics of nudity which does little to defy contradiction; we see them just as they have appeared for the last two years in English, Italian and German websites in the Cyberleiber body landscape cycle. Kroker’s stance is becoming increasingly clear in artistic as well as in programmatic terms. Now pornography is blatantly granted not just the artistic right to exist but also its thematic autonomy. Why keep  shrinking from that which is no longer a topic of discussion among art and literature scholars and critics, is no longer a taboo to be exorcised but  is considered as something merely dissolute, gallant, erotic or simply libertine? In other words: why not just call pornography by its real name? The fact is that often words inspire more fear than the naked truth – which, being naked (and perhaps slightly perverse), sparks a certain sanctimonious voyeurism.

But we are here to talk about art – Paul Kroker’s art. Be it pornographic or not, any sanctions are up to others. But if we really want to label these works as pornographic, then we must look first at their inherent criticism to the predominant manner in which sexuality is presented and to the corresponding ways in which we are accustomed to viewing it. It is, to quote the artist himself, “critical pornography”. At this point we are able to pronounce ourselves on the quality of the works – something awkward in this day and age – and to discuss about good or bad art,  successful or (underachieving) unsuccessful art.

The digital paintings made by Kroker in the last two years and called digipics by the artist cannot but recall the tradition evoked some ten years ago by the Consul General in Milan, Michael Engelhard, on the occasion of the Constructa Romantika II Exhibition (Circolo Filologico, Milan 1997), who, to define the large charcoal drawings depicting female bodies with acrylic  abstract elements, spoke of a stylistic union between Italian sculpture Renaissance and German Expressionism.

Kroker latest works, in particular, point in this direction – the imposing, sometimes even intrusive presence of bodies that are plastic and realistic at the same time, of bodily fragments, mutilated and alienated, which irony makes bizarre and sometimes even repulsive. During The Sacred Void exhibition (Bologna, 2006) Philippe Daverio claimed that in moving toward the ideal Mediterranean beauty, Kroker moves in the direction opposite to the monstrous figures of Grünewald or Bosch; today, their traces are quite evident. The colour is so permeating that it threatens to flood every single thing and at the very least obstructs the view or sets the scene for an explosive painting. Yes, these digital works are certainly paintings of a destructive power – the engrossed image, the protoimage, is broken down and becomes the object of unpredictable transmutations and shifts toward the abstract and issues into a mosaic that breaks away from semantic simplicity to spur critical reflections and artistic enjoyment.

...

 

 

 

 

(Translated by Andrew Tanzi)

 

Weser Kurier
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Weser Kurier, 10 giugno 2008

 

PORNOGRAFIA CRITICA

Paul Kroker: pittura digitale contro stupro, vergogna e violenza


Dalla nostra corrispondente Inka Sommerfeld

 

Langwedel-Etelsen La superficie espositiva è neanche di 8m2. È buio. Il soffitto è basso e i visitatori devono chinare un po’ la testa. Da fuori entra solo un filo di luce attraverso minuscoli buchi nelle pareti di legno. Dopo aver chiuso il cancello, all’interno incombe un senso di angoscia: imprigionati nel canile di Etelsen!

Proprio qui l’artista Paul Kroker ha inaugurato la sua mostra dal titolo Warning, Cyberleiber only!. Nessuna presentazione, niente discorsi formali in tutta tranquillità ha salutato a voce bassa i visitatori nel giardino della  casa di Etelser Straße 17B.

Più violento, invece, l’effetto delle sue creazioni all’interno dello spazio buio e soffocante, parte integrante dell´opera. In un angolo solo due sedie e un monitor. I visitatori prendono posto per guardare una cinquantina di immagini che appaiono sullo schermo a intervalli di qualche secondo l’una dall’altra: «pornografia critica», così la chiama Kroker, che concepisce la sua arte come un impegno contro lo stupro, la vergogna e la violenza di cui sono vittime soprattutto donne e bambini nonché le persone più deboli nella nostra società.

Con la sua pittura digitale l’artista cinquantanovenne mette in discussione le forme abituali in cui ci viene presentata la sessualità nonché i modi corrispondenti in cui siamo soliti vederla. Davanti agli occhi dei visitatori sfilano paesaggi di corpi, mutilati e straniati, che l’ironia rende bizzarri e anche respingenti. Il tutto è immerso in un cromatismo che minaccia di inondare ogni cosa. Come punto di partenza per la sua mostra, Kroker, berlinese di nascita, si è avvalso di fotografie e motivi offerti dalla televisione e da internet.

Il vecchio canile rappresenta una scelta consapevole da parte dell´artista, che lo ha trasformato nello spazio espositivo della sua prima personale in Germania: chi vuole vedere i suoi quadri deve andare dietro le sbarre. E questo in entrambi i sensi. Il titolo della mostra avverte i visitatori: qualcosa di proibito li aspetta.

Oltre alla sua attività di docente universitario, Paul Kroker si è occupato di recitazione e letteratura e, più tardi, anche di scultura. Ma siccome non gli bastava ha iniziato con la pittura. Oggi si divide, settimana dopo settimana, tra il suo lavoro di docente di germanistica a Milano e la sua attività di artista a Etelsen.

 

 

 

 

(Trad. Anna Paradiso)

 

Achimer Kreisblatt
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ACHIMER KREISBLATT, 10 giugno 2008

 

«LA MIA PERSONALISSIMA FORMA DI ESPRESSIONE»

Warning, Cyberleiber only! in un ex canile di Etelsen:

«Corpi bizzarri e anche respingenti»

 

Etelsen (Rob. Bergemeier) Una  cosa è certa: l’arte può presentarsi in molti modi. E i quadri non devono per forza stare appesi alle pareti di saloni antichi e maestosi. Quanto a luoghi insoliti per mostre, Etelsen è davvero all’avanguardia. O meglio, lo è un artista di Etelsen, Paul Kroker.

Venerdì sera, in occasione del vernissage della mostra Warning, Cyberleiber only!, chi ha voluto ammirare i suoi quadri ha dovuto chinarsi un po’ per entrare in un canile, una gabbia per cani da caccia abbandonata. Non si trattava certo di una sistemazione provvisoria: quel posto è stato scelto, infatti, con molta cura. «Si entra in un luogo sapendo che è un luogo proibito» dice Paul Kroker. «Sebbene di proibito non ci sia proprio nulla» aggiunge.

Che la sua mostra possa essere definita quantomeno al limite lo sa bene anche lui. Questo è anche il motivo dell’ammonimento Warning, contenuto nel titolo anglo-tedesco. La produzione artistica di Kroker, infatti, trova il suo centro nella «pornografia critica», come afferma lui stesso. Docente universitario di germanistica a Milano, Kroker vuole mettere in discussione, attraverso le sue opere, le forme abituali in cui ci viene presentata la sessualità e i modi corrispondenti in cui siamo soliti vederla.

Per farlo l’artista, berlinese di nascita e che da sette anni fa la spola tra Milano ed Etelsen, non si serve né di pennelli né di tele: la sua opera si genera nello spazio virtuale. Per creare la sua pittura digitale ha bisogno piuttosto di un buon software fotografico.

Anche la ‘materia prima’ delle sue opere è estratta dai mille mondi dell’universo virtuale, i siti pornografici per esempio. Ma anche foto digitali che ritraggono persone nel bel mezzo di un amplesso. Artista autodidatta, Kroker elabora poi al computer il materiale raccolto, straniandolo e distorcendolo fino a renderlo «bizzarro e anche respingente. Il tutto immerso in un cromatismo che minaccia di inondare ogni cosa, che perlomeno ostacola  la visuale oppure mette in scena una pittura esplosiva» scrive la curatrice della mostra Beatriz Szonell. Le opere così realizzate vengono presentate a Etelsen in veste digitale – la tecnologia ha fatto in questo modo il suo ingresso, insieme a un monitor a schermo piatto, nell’ex canile.

«Questa è la mia personalissima forma di espressione che non ho trovato nella letteratura ma nelle arti figurative» dice il cinquantanovenne docente universitario che in passato ha già dovuto affrontare problemi di censura. L’artista, che vive tra la Germania e l’Italia e che dal 1993 espone le sue opere nell’ambito di mostre personali e collettive, si pone all’interno della migliore tradizione artistica: dedicarsi al corpo, infatti, appare un mestiere stravagante solo a un occhio superficiale. Perché «non esiste grande artista che non abbia lavorato con il corpo».

 

 

 

 

(Trad. Anna Paradiso)

 

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