Rezensionen/ Presse

Der Gesamtüberblick findet sich im Menu unter "Biografisches"

Texte von Eva Dotterweich (2011), Bernd Hägermann (2010), Christian Neuhuber (2009), Inka Sommerfeld (2008), Beatriz Szonell (2008)

Testi di Franca Cavagnoli (2010), Carlo Quadrino (2008), Philippe Daverio (2006), Giorgio Cusatelli (2001)

Text by Franca Cavagnoli (2003)

Eva Dottenweich

Franca Cavagnoli

 

Storie di funamboli, nocchieri e pierrots lunaires 

 

Franca Cavagnoli, Storie....pdf
Adobe Acrobat Dokument 974.1 KB

Bernd Hägermann

wochentipp 8.4.2010.pdf
Adobe Acrobat Dokument 1.6 MB

Christian Neuhuber

LENZ-BILDER

Bildlichkeit in Büchners Erzählung

und ihre Rezeption in der

bildenden Kunst

Böhlau Verlag Wien Köln Weimar, 2009

S. 314ff

kroker.pdf
Adobe Acrobat Dokument 20.5 KB

Carlo Quadrino

 

Paul Kroker – il connubio tra le arti

 

 

Langwedel (Bassa Sassonia - Germania), 04.07.08


Intervista con: Paul Kroker
pittore e letterato

segnalato da: GenomART

Continuano le interviste dirette agli artisti presenti con le proprie opere sul nostro portale. E’ la volta di Paul Kroker, artista tedesco ma naturalizzato italiano per gli anni di lavoro e studio trascorsi nel Bel Paese. Kroker nasce nel 1949 a Berlino e dal 1980 si trasferisce in Italia. Attualmente lavora tra Milano e il nord della Germania, vicino a Brema. Docente di Lingua e Letteratura Tedesca in varie università (Bergamo, Milano e Siena nonché presso il Dipartimento di Lingue della Fondazione Scuole Civiche di Milano), è autore di diversi saggi nel campo della Letteratura e dell’Arte (citiamo ad esempio Tra malinconia e utopia scritto con V. Cisotti e L. Fontana nel 2000) oltre che di interventi in dibattiti internazionali. Passando dalla teoria alla pratica Pau Kroker lo ricordiamo anche come curatore e artista su romanticismo ed erotismo. Traduttore di numerosi cataloghi di arte contemporanea, nel 1993 esordisce a Milano con la mostra personale Macere presentata da M.Engelhard, Console Generale della Repubblica Federale di Germania.

GENOMART - Artista ma anche letterato. Studioso di Lingue… riesce a convivere con passioni diverse?

KROKER - Lingue, letteratura e arte da sempre fanno parte della mia vita, almeno da quando mi sono trasferito in Italia, esattamente 29 anni fa. E non c’è mai stato un progetto importante dove manca l’una o l’altra – ricordo a questo proposito la grande manifestazione nel 2001 sul bicentenario della morte di Novalis, sotto il patrocinio della Regione Lombardia, della Provincia e del Comune di Milano nonché del Consolato di Germania, chiamata Romantik 2001 – arte musica poesia a Milano e Bergamo. Era un girotondo di concerti, convegni sulla letteratura tedesca ed europea e mostre d’arte, cui hanno collaborato istituti di cultura italiani e stranieri, gallerie, riviste e l’università. Il connubio tra le arti – riuscito al meglio nell’opera totale, nel Gesamtkunstwerk, oppure nelle performance Fluxus – è la perfetta convivenza delle passioni diverse di cui parla lei.

GENOMART - Si sente più artista o studioso dell’arte?

KROKER - Sono un artista e anche uno studioso di letteratura tedesca e qualche volta sono intervenuto su questioni d’arte, per ultimo sul tema dell’arte e della censura. Letteratura e arte si integrano molto bene: quando parlo ai miei studenti del Romanticismo letterario tedesco, la sua estetica la si spiega meglio ricorrendo ai quadri di Friedrich o di Runge. Ed E.T.A. Hoffmann a sua volta era compositore e pittore non solo lo scrittore che tutti ammiriamo. E quando io lavoro su un quadro piuttosto che su un’istallazione, automaticamente mi vengono in mente concetti e frasi dei miei autori preferiti, tra cui Gottfried Benn e Heiner Müller. Potremmo parlare di un rapporto simbiotico tra arte e letteratura che mi serve anche quando svolgo il mio lavoro di traduttore di testi D’arte, cataloghi e libri.

GENOMART - Chi la conosce sa che le sue opere sono molto legate alla figura della donna. Ne rappresenta le sofferenze, le gioie come le passioni. Sembra ossessionato dal tratto femminile. Perché questo desiderio di “scoprire” e rappresentare il mondo femminile?

KROKER - Da sempre, fin dalla mia prima personale nel 1993, e con tecniche diverse – dal disegno al collage, dalla scultura all´objet trouvé – al centro del mio lavoro c’è il corpo umano o, se vogliamo, il paesaggio corporeo-umano di ambedue i sessi. Che la figura femminile occupi un posto centrale è dovuto alla sua perfezione: l’uomo migliore è la donna, dall’anima al corpo è un enigma. E anche il contrario: il mondo femminile è concretamente leggibile, incorpora e partorisce il tutto – tra “sacralità e sopraffazione”, il titolo di una mostra a Milano di qualche anno fa (Cortina Arte, 2003).

GENOMART - L’arte è femminile?

KROKER - L’arte, si sa, è androgina. Un’opera d’arte si crea con e per tutti i sensi, è una cosa spontanea, intuitiva, di pancia. Ma è anche un risultato concettuale, senza il quale l’epifania, il caso, non avrebbe mai luogo. Per questo motivo più di dieci anni fa avevo coniato per alcune mie mostre un concetto come constructa romantika, perché in arte ci vogliono sia la fantasia sia la capacità intellettuale di supervisionare il proprio lavoro in modo critico.

GENOMART - Berlinese di nascita ma in parte italiano. Lavora anche a Milano da anni… con puntatine in Toscana. La contaminazione di due culture, tedesca e italiana, ha influito sul suo lavoro? E in che modo?

KROKER - Esattamente dieci anni fa l’allora Console generale di Germania a Milano, Michael Engelhard, traduttore dei sonetti di Michelangelo e amante dell´arte, in occasione della mia personale al Circolo Filologico Milanese aveva definito i miei lavori una commistione stilistica tra la scultura rinascimentale italiana e l’espressionismo tedesco, riferendosi al connubio dei volumi plastici dei corpi in carboncino da un lato e dei segni astratti cromatici in acrilico dall’altro. Philippe Daverio, invece, due anni fa mi ha criticato perché le mie sculture non appartengono più alla mia “originaria cultura tribale da nomade, bensì corrispondono… a un´idea estetica del bello, che è il corpo dell’etrusco”. E per finire, la curatrice della mia mostra attuale in Germania sostiene che ora nelle mie figure sono riconoscibili tratti ironici, satirici, che rimanderebbero alla cultura dei Bosch e Grünewald che – secondo Philippe – mi sarei lasciato alle spalle.

GENOMART - Artisticamente è più italiano o più tedesco?

KROKER - - Preferisco rispondere in inglese a questa domanda: “Wandering between Germany and Italy, Berlin and Milan, Lombardy and Tuscany and the North of Germany, looking out for a place to build up my life, my love, my art. Neither fatherland nor mother country, no hometown any longer – yet I don´t feel homeless at all. My Heimat: a provisional abode. Real, virtual, global - spaces where my nomadic soul and body will create that clever coincidence called romantic Lebenskunst, the pinnacle of all arts. Due to dreams and desire, migration is my state of mind, my way of being, the only chance for aesthetic creation, to realise a sacred void that is always borderline, between & beyond trash and pornography, anorexia and bulimia” (dal progetto “Virtual Residency”).

GENOMART - L’ispirazione è…?

KROKER - Il caso, la casualità che – secondo Novalis – l´artista adora.

GENOMART - Un corpo femminile come lo definirebbe?

KROKER - Geograficamente perfetto.

GENOMART - La cultura è…?

KROKER - La cultura fa vivere la natura umana perché ci apre gli spazi per giocare (nel senso dell´homo ludens di Huizinga).

GENOMART - Pitture e sculture… ama entrambe le tecniche… ma preferisce?

KROKER - Non si tratta di preferenze, dipende piuttosto dall´ispirazione.

GENOMART - Ci scusi ma perché nelle sue opere ricorre spesso il colore “oro”?

KROKER - L’oro ho cominciato a adorarlo nei monocromi di Yves Klein e ha segnato il periodo a cavallo del nuovo millennio sia in pittura che in scultura, come si può vedere nella mostra on-line del 2003 (www.piziarte.net). È il colore del sacro che ha dominato varie mostre in cui volevo esprimere la mia sensazione di un’altra dimensione, di un valore poetico, mistico e misterioso, di una cosa che c’è senza essere tangibile. Sia ben chiaro: non parlo di religione né di qualsiasi altra ideologia.

GENOMART - Il sesso è arte?

KROKER - Se fatto ad arte…

GENOMART - E la pornografia?

KROKER - La pornografia in arte e letteratura è un genere come la paesaggistica o il thriller. Infatti, la mia pittura digitale degli ultimi anni la definisco anche paesaggistica del corpo umano. Del corpo nessun artista può fare a meno e nemmeno della pornografia, siano essi scultori o pittori – da Michelangelo a Picasso, da Courbet a Rodin.

GENOMART - Fino al 10 luglio, a Langwedel presso lo spazio Etelser Hunde-Zwinger è possibile visionare alcune sue opere alla mostra “WARNING, CYBERLEIBER ONLY! Arte digitale dietro le sbarre”, pittura digitale sulla decostruzione ironica dell’immaginario pornografico comune. Ci spieghi meglio.

KROKER - I lavori esposti sono una cinquantina, presentati su un monitor in un canile buio di sei metri quadri. E, come ha osservato con acume la giornalista del “Weserkurier”, la location fa parte dell´opera d´arte. Come mai? Per alcune immagini mi sono state rivolte critiche feroci da parte di alcuni membri di una community di un noto sito tedesco (n.b. mai mi è successa un cosa simile in Italia, Inghilterra oppure negli USA), che mi hanno accusato addirittura di pornografia infantile. Non vorrei soffermarmi sugli aspetti psicologici di quella gente, ma il suo modo di affrontare il lavoro di un artista mi ha fatto male. E tutto dietro la facciata del politically correct! Allora volevo fare una mostra nel Paese che è anche il mio e che desse una risposta esaustiva da parte mia con immagini che ho denominato “pornografia critica” – un termine che ho coniato io sia per la lingua tedesca sia per quella italiana, mentre negli States alcuni anni fa lo si trovava in un corso universitario sui critical pornography studies. Insieme alla curatrice abbiamo poi scelto per la mostra un titolo che cavalca i vari “Warning” dei siti porno e che è ovviamente ambiguo. Chi entra nel canile è avvertito, ma certamente non lo aspetta quel tipo di pornografia che puoi tranquillamente guardare e scaricare in rete. Sono molto contento del successo mediale della mostra: l’evento, oltre a essere stato annunciato sulla stampa locale in modo articolato, ha stimolato anche delle recensioni che mettono ben in risalto l’aspetto della “kritische Pornografie”. Nella sua domanda ha usato il termine ‘decostruzione’ e ha fatto bene, perché da lì si riesce magari a spiegare quel che sto facendo: prendendo come materiale – materia prima per creare – quel che offre la rete, lavoro – con i programmi Photoshop, non importa quali – a un’altra immagine, un’immagine finale che è una critica estetica dell´Urbild/Vorbild e che presenta qualcosa di completamente nuovo perché punta alla dimensione della bellezza (etrusca?).

GENOMART - ...dunque sperimenta anche l’arte digitale! Paul Kroker possiamo definirlo realmente come un artista contemporaneo e completo… che dice?

KROKER - Nein, nein! Zeitgenössisch wohl, aber nicht vollkommen. Ich bin ein Fragment. (No, no! Magari un contemporaneo, ma non mi sento affatto completo. Sono un frammento.)

 

 

Inka Sommerfeld

Weser Kurier 10.6.2008
3 Weserkurier.pdf
Adobe Acrobat Dokument 2.1 MB

Beatriz Szonell

Warning, Schule des Sehens!

2 szonell, schule des sehens pdf.pdf
Adobe Acrobat Dokument 77.4 KB

Philippe Daverio

Paul Kroker, berlinese, dovrebbe tendenzialmente vedere il corpo nella versione autopunitiva germanica: pensate alle pustole incredibili del diavoletto che se ne sta seduto nelle Tentazioni di Sant’Antonio di Matthias Grünewald. Nessun italiano avrebbe sopportato la vista di quelle pustole. Sono i mostri di Max Ernst, che tirano via la barba al frate, poi c’è un altro animaletto surrealista, e infine sotto c’è una sorta di umanoide con un corpo abietto coperto di pustole. Ritroviamo elementi analoghi e straordinari, non necessariamente germanici, nel museo di Varsavia.

Tutti i popoli del nord, tutti i derivati della grande migrazione, hanno una visione del corpo non del tutto risolta. È questa la visione normale del corpo che dovrebbe avere Paul Kroker. Lui, invece, ha compiuto un gesto osceno: è uscito dalla sua scena e ha deciso di vivere a Milano. Ha fatto un salto in una cultura diversa, e nel fare questo salto in una cultura diversa ha scoperto il gesto osceno suo, cioè quello del corpo che invece di essere ciò che doveva sembrare – pustoloso - diventa il corpo che colloquia con l’oceano.

Il corpo, cioè, che viene costantemente massaggiato dall’idea del bello, da un’idea estetica del bello, che è il corpo dell’etrusco. Le sue signore, di cui vediamo qui soltanto tracce di chiappe e di seni ma che sono nascoste dietro delle reti d’oro, sono delle signore che non appartengono più alla sua originaria cultura tribale da nomade, bensì corrispondono a chi è stanziale e da stanziale va a pesca, va in quel mare lì e quel mare lì non fa male. Quel mare lì permette di abbronzarsi. Quindi alla fine lui ha compiuto un gesto osceno con un grande corpo come il mare.

 

 

 

 

Philippe Daverio, Corpo a corpo con l´osceno,

28.1.2006, Istituto di Cultura germanica, Bologna

Franca Cavagnoli

Angele


 


A dismal and desolate landscape, scorched by flames, dotted with bituminous scrub. Few, subdued patches of colour: ochre, pearl grey, purple. The sky has fallen on this barren land, and lies shattered. Out of its ruins – or before touching the ground, perhaps? – a leaden wing rises. A bird’s wing? An angel’s? Undoubtedly, however, a wing that can no longer fly nor ever could. It lays heavily on the waste land of straw and string and tin.
The torment of this wing is depicted in Kiefer’s painting Das Wölund-Lied. But the desolation on the canvas is simply the reflection of the inhuman desolation that dwells in the heart of German artists more than it does in the heart of any other European artist. Fifty years ago Vercors had one of his characters, a Wehrmacht officer, say about another artist and fellow countryman: “Bach… he could only be German. That is the character of our land: an inhuman character. I mean, not pertaining to a human being.” Thus is the most prominent feature of Paul Kroker’s Angels: they are creatures that are no longer angelic nor yet human, they are inhuman in the sense that Vercors gives to the word.
Their journey was not from earth to the sky: they are fallen angels, or maybe they simply descended, drawn by the mystery of humankind. But mysteriousness draws and allures, and sometimes its very charm is what hinders knowledge. Not here. Indeed, these creatures appear to have descended to earth to penetrate the essence of human suffering, as they remain suspended on the very thin rope that divides the corporeal from the spiritual. After all, how could an artist from
Berlin not measure himself with the thin line of separation, being as he is more used than anyone else in Europe to measuring himself with the firing line that split his city, his country and our entire continent in two for decades? His creatures are therefore destined to remain in exile forever, just as the artist who conceived them is displaced: their gaze half-turned back, like an emigrant’s, scanning the dust in search for the now unrecognisable traces of the homeland they have lost or left.

Paul Kroker has often stated that, “Those who know me know that my work has always been centred on the figure of woman, her suffering and joy as well as her passion and passionateness. Then, years ago, a revengeful streak set in as well. By revengeful I mean self-destructive, obliterating.” In these figures the suffering of woman – her passion – seems to have clotted into the bloody material we can perceive inside them, for not a single drop of liquid seems to have come out of their knife-, scissors-, grenade-inflicted gashes; their blood seems to have spilled inside, where the world’s pain they bear condenses. Some still preserve the heritage of the heavenly homeland they lost or left – their wings – while others are now wingless but have yet to grow limbs. Once again, they proceed with the sole force of their passion-ruling vital organs along the intangible yet distinct line between being half and half. They are constantly seized by an unmentionable suffering that leaves them injured, mutilated, racked with pain in a body that is no longer spiritual and not yet human. Even though the wings are made with very light material – Kroker uses humble materials: plastic, cardboard, papier-mâché, rags – and hence by no means comparable to the tin or lead that hinder the movement of the wing fallen from the sky in Kiefer’s painting, still we know that these Angels will never fly off again either.

Golden figures and white figures. Gold, the emblem of a sacredness ever violated and transgressed by the actions of the subject it clothes. Golden angels heavy with thoughts, the highest expression of an excessive cerebralism that leaves room for nothing else, of pure thought, of cold and detached abstraction. Could this be why Kroker’s statues are all decapitated? Is their head, rather than their passion-ruling organs, the driving force behind their pain then? The prong does indeed comes out of the belly, like the tentacle of an octopus that might be closing its grip on the humour-producing organs, closely threatening bile ducts, enlarging livers, causing bile to gush, drying up pancreases and spleens and stripping them of their primary functions. These figures seemingly want to remind us that having no head does not mean having no thoughts: if the head is too saturated with thoughts that do nothing but spin around, if thought turns into excessive cerebralism, grows exasperated and does nothing but vex the mind, then there is only way out, one leading towards lucid madness.

Beside the gold is whiteness, the symbol of a mourning that nothing will put an end to. What is the mourning these crumpled-winged women will never manage to work through? What story might they tell – deprived as they are of a mouth to voice their thoughts with, of eyes to frown at us, or to be crossed by a veil of melancholy or by a flash of sudden irritation – if we were to draw near and listen to the motion of their soul? Perhaps they would tell us about an apocalyptic age where their life could only accomplish its own slow self-dissolution, just like another German, a son of last century’s closing, managed to tell with blazing intensity in his books. Like Sebald’s Austerlitzteaches us, being able to remember can be a curse, although nobody manages to keep away from the arsenic that contaminates the headwaters of memory. Still, there must be a journey going on in this ethereal white body towards the sources, towards the deepest and darkest regions the light that illuminates our inner space bursts forth from, the only antidote to arsenic that humankind has ever managed to discover. 

Figures that receive death and give themselves death but give it in turn as well. What might indeed befall the unwary person who dares go near that prong coming out of the belly? Or that rope cutely worn around the neck like a necklace or a scarf. What purpose can it serve, other than to hang oneself? Thus they are never solar angels, despite the gold’s brilliance, but nocturnal angels, wet by the moon’s silver. Angels of passion. These statues used to have chains of small dancing figures on them that I never found joyous, let alone playful, given how mangled their bodies were. What we see now appears to me as the artist’s natural evolution towards genuine disbelief, the impossibility to believe in life as such, only in the salvific strength of his own power to imagine it. And the earth these she-angels have descended to does not look blinded by the flash of the sublime or of the sacred, but crusted over with the miasmata of a now withered soil. They are figures destined to roam among us, along the thin line of their inhumanity, on a waste land from which it seems no more lilies will ever spring again.

 

January 2003


(Translated by Andrew Tanzi)

Giorgio Cusatelli

Vorrei riprendere l’idea di un convegno su Novalis da una di quelle sculture che Paul Kroker ha esposto ed espone tuttora presso la sede del Goethe-Institut. Si tratta di oggetti d’oro che non sono tanto oggetti, non sono Gegenstände si direbbe in tedesco, ma propriamente sono Dinge, cioè entità, res. Questi oggetti d’oro sono avvolti con un sottile filo azzurro. È quasi simbolica una figura del genere perché l’oro è il pensiero e la sostanza della presenza di Novalis nel mondo e il filo azzurro è naturalmente die blaue Blume, è la presenza contingente del reale nel quotidiano dell’opera di Novalis. detto questo in affettuosa dialettica con Paul Kroker, non tanto penso all’attualità di Novalis quanto alla perennità di Novalis.

 

 

 

dal saluto al simposio Utopie romantiche,

Università degli Studi di Milano,

23 marzo 2001